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GLI EFFETTI "DESIDERATI" DI UNA CHEMIOTERAPIA

“Ho il cancro”. Un fulmine a ciel sereno, un orologio che si ferma, un vetro che si rompe, s’infrange, ti colpisce e ti fa male. Tre parole che si sussurrano con la voce che si spezza e risuona in testa come un’eco che non pare avere fine.

“Ho il cancro” io l’ho detto a 15 anni, quando mi è stato diagnostico un linfoma di Hodgking. Forse non capivo neppure cosa mi stesse succedendo o forse potevo ancora permettermi di non capirlo. In realtà non sono sicura di aver mai trovato il coraggio di dire “Ho il cancro”, ma sicuramente, il cancro, l’ho vissuto. Ho vissuto la malattia, le cure, la rabbia e la paura di una ragazzina che si ritrova a combattere una battaglia che non ha scelto, a percorrere un sentiero che non può evitare.

Adesso ho 28 anni e “Ho avuto il cancro”. Sì, l’ho avuto, ma ora non c’è più; il linfoma non c’è più. Il cielo per adesso è azzurro, l’orologio è ripartito, il vetro si è ricomposto ed è più forte di prima. “Ho avuto il cancro”. Quattro parole che posso urlare, a piena voce, con il sorriso sulle labbra per farle risuonare dentro e fuori di me.

Adesso ho 28 anni, un ragazzo, degli amici, la mia famiglia; ho una (forse inutile) laurea, un lavoro, una casetta tutta mia; ho un abbonamento in palestra, dei capelli che faccio crescere per poi tagliare, e una splendida vita normale. Insomma alla fine ho tutto quello che temevo avrei perso a causa della malattia

Ed è stato proprio mentre riacquistavo la tanto agognata “normalità” che cominciava a farsi strada dentro di me la consapevolezza di quanto fossi stata fortunata e la volontà di trasformare questa fortuna in qualcosa di produttivo. In questo non ero e non solo sola. A volte il cancro ti uccide, ma altre volte siamo noi ad uccidere lui. Ci siamo ritrovati, noi ex pazienti del reparto di oncoematologia dell’ospedale Meyer, non saprei nemmeno spiegarvi bene come. Siamo diversi (abbiamo età diverse, vite diverse; abbiamo vissuto malattie diverse e percorso strade diverse), ma siamo ragazzi “normali” che abbiamo vissuto un’esperienza simile e questa esperienza ci ha lasciato qualcosa da dire.

Immagino questo blog come una grande scatola. Cosa ci mettiamo dentro? Pensieri, messaggi, riflessioni, racconti, fumetti, video, foto, suggerimenti…ci mettiamo la nostra storia, il nostro prima, il nostro durante e il nostro dopo. Perché? Forse ancora non ho ben chiaro il perché. Un blog potrebbe essere d’aiuto a qualcuno, di conforto, potrebbe essere fonte di riflessione, strumento di autoanalisi. Oppure potrebbe essere semplicemente un effetto “desiderato” della chemioterapia.

Arianna

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